Un romanzo senza tempo, edito per la prima volta da Bompiani nel 1980. Il nome della rosa di Umberto Eco resta uno dei capisaldi della letteratura italiana, inserito tra i “100 libri del secolo” dal francese Le Monde. Un successo senza eguali, per la critica e il pubblico; adattato per la radio, il teatro, il cinema e la tv (da ultimo, sarà in onda dal 4 marzo su Rai
Uno la fiction diretta da Giacomo Battiato).
Il prologo permette di entrare nel cuore della storia, costruita su un espediente letterario: l’autore racconta di aver letto durante un soggiorno all’estero il manoscritto di un monaco benedettino relativo a una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale in un’abbazia dell’Italia settentrionale. Un intenso lavoro di traduzione e ricerca bibliografica lo porta così alla ricostruzione dell’intricata e travolgente vicenda.

Sul finire del 1327, il frate francescano Guglielmo da Baskerville e il suo allievo Adso da Melk si recano in un monastero benedettino sede di un convegno che vedrà la presenza dei francescani sostenitori delle tesi pauperistiche (alleati dell’imperatore Ludovico) e dei delegati della curia papale, insediata ad Avignone, poiché Guglielmo (inquisitore pentito) ha ricevuto dall’imperatore l’incarico di seguire l’evento a suo favore. La morte sospetta del giovane confratello Adelmo, avvenuta durante una bufera di neve, rischia di far saltare l’appuntamento. Di seguito altre tragiche e inspiegabili morti si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e quella di Berengario, aiutante bibliotecario; anche altri monaci perdono la vita mentre i delegati del papa disputano con i francescani delegati dall’imperatore sul tema della povertà della Chiesa cattolica. Il filo rosso che lega le morti misteriose è un manoscritto greco custodito nella biblioteca, fiore all’occhiello del monastero. Qui vivono anche due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore. Il primo, tuttavia, intrattiene un ambiguo scambio con una povera fanciulla del luogo, che concede favori sessuali per fame e povertà. Un giorno, però, l’inquisitore Bernardo Gui trova la fanciulla insieme a Salvatore e alla vista di un gallo nero, che la ragazza affamata avrebbe voluto mangiare, emette nei loro confronti l’accusa di essere cultori di riti satanici e responsabili delle misteriose morti avvenute nel monastero. Fra’ Remigio, Salvatore e la fanciulla vengono processati e condannati. Intanto, però, Guglielmo e Adso, desiderosi di conoscere la verità, arrivano nel labirinto della biblioteca e scoprono il luogo dove è custodito il manoscritto fatale (ovvero l’ultima copia del secondo libro della Poetica di Aristotele). Sono loro a scoprire che che le pagine del libro contengono una maledizione: uccidono chiunque si appresti a sfogliarle. Alla fine, Jorge da Burgos, anziano cieco e conoscitore di ogni segreto, dopo la morte del bibliotecario Malachia tenta di uccidere Guglielmo offrendogli il manoscritto dalle pagine avvelenate. Ma lui, sfogliandolo con le mani protette da un guanto, riesce a salvarsi mentre il vecchio monaco, in un eccesso di fervore, prova a divorare le pagine avvelenate del testo in modo che più nessuno possa leggerle. Mentre Guglielmo e Adso tentano di fermarlo, Jorge provoca un incendio che nessuno riuscirà a domare e che porterà alla distruzione dell’intera abbazia. Adso e il suo maestro partiranno lontano da quelle macerie: il giovane ci tornerà anni dopo, trovando soltanto solitudine e desolazione laddove anni addietro si erano consumati invece omicidi e intrighi, misteri e scoperte.
IL NOME DELLA ROSA- UMBERTO ECO
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